mercoledì, novembre 29, 2006

L'ex agente del Kgb Gordievsky: il Polonio? Solo da un laboratorio di Stato

«Litvinienko ucciso con il tè, da ex colleghi»

«Hanno voluto punirlo per gli attacchi al Cremlino e per mandare un messaggio agli altri fuoriusciti»
LONDRA — In Occidente il colonnello del Kgb Oleg Gordievsky ci è arrivato nel bagagliaio di un'auto, nel 1985, «contrabbandato» dagli uomini dell'MI6 britannico per il quale aveva lavorato come agente doppio dal 1968.
Era l'anno in cui fu invasa la Cecoslovacchia e l'uomo «venuto dal freddo» ebbe una crisi di coscienza. Cominciò a passare informazioni e documenti agli inglesi.Continuò a fare carriera, fu promosso rezident del Kgb a Londra.
Finché qualcuno ebbe dei sospetti e lo richiamò a Mosca nella primavera del 1985. Il colonnello rimase freddo, rientrò in patria. Fu arrestato, interrogato, non cedette.
Rilasciato, ma tenuto sotto controllo, una mattina d'estate uscì per fare jogging, seminò «gli angeli custodi», prese un treno, arrivò alla frontiera finlandese. Si infilò nel bagagliaio di un'auto. Riemerse a Londra: rivelò i nomi di una settantina di spie sovietiche.
Non si sopravvive facendo il doppiogioco per vent'anni e per altri venti da esule se non si è una persona accorta.
Alexander Litvinenko, era amico di Gordievsky lo visitava spesso nella sua casa fuori Londra. Gli chiedeva consiglio. Lo trattava con «grande rispetto». Forse però non lo ha ascoltato abbastanza.Colonnello Gordievsky, qual è stato l'errore di Litvinenko? «Era convinto di poter identificare un pericolo a un chilometro di distanza, era esperto ma orgoglioso.
Il suo solo errore, ma grande, è stato di aver considerato i vecchi compagni dei tempi del Kgb come amici. Si sono presentati a Londra dicendo di essere diventati dirigenti di una società di sicurezza, per parlare di affari con Alexander. Lui stava cercando lavoro, perché aveva bisogno di denaro. Ma non ci si può mai fidare di chi ha fatto il nostro mestiere», dice Gordievsky, e sicuramente parla con cognizione di causa. Sa anche molte cose sui fatti di quel primo novembre, perché ne ha discusso con Marina, la vedova di Litvinenko.
Come è scattata la trappola? «Proprio perché lo conoscevano bene sapevano che Alexander non beveva alcol, non toccava nemmeno un goccio di birra, né in pubblico né in privato. Così hanno pensato al tè. Quello non l'avrebbe rifiutato. Era pronto quando è arrivato al bar dell'albergo».Quanti agenti operativi ci vogliono per un affare del genere? «La squadra dei sicari doveva essere composta di due, massimo tre elementi, perché non bisognava dare nell'occhio. Tutta gente che era stata in passato nel Kgb e aveva lasciato il servizio per darsi agli affari. Ma che quando riceve una telefonata sa di dover tornare al lavoro per i vecchi capi. Alexander avrebbe dovuto saperlo.
Ma andò all'appuntamento al Millennium Hotel ».Quanto tempo per preparare il piano? «In queste faccende si comincia da più di un anno prima dell'azione. La fase finale può durare tre, quattro settimane. E sul campo gli agenti che devono eliminare il soggetto restano tra i 2 e i 6 giorni. Il tempo per far entrare in Inghilterra la scatola speciale con la sostanza radioattiva».Perché è stato ucciso Litvinenko? «Per punirlo e per mandare un messaggio agli altri fuoriusciti a tenere la bocca chiusa. Anzitutto a Berezovskij».
Possono essere stati servizi autonomi dal Cremlino, servizi deviati come diciamo in Occidente? «Sciocchezze. Se si vuole il Polonio 210 radioattivo ci si deve rivolgere a un laboratorio nucleare, controllato dallo Stato, serve una regolare richiesta per linea gerarchica che deve salire fino ai livelli più alti del potere. Tutto è centralizzato in quel campo, non credete alle favole.
Per rendere utilizzabile la sostanza serve un lavoro complicato, hanno dovuto consegnare il materiale in un contenitore speciale, addestrare i sicari a usarlo, farlo arrivare sul posto. Roba che solo un'organizzazione che fa capo allo Stato può permettersi».Litvinenko durante l'agonia ha fatto il nome di Viktor Kirov, un agente con copertura diplomatica russa che ha lasciato Londra pochi mesi fa. «Un ufficiale di medio livello dell'Svr, il servizio segreto esterno.
Il suo incarico era di controllare Alexander, ma non di ucciderlo. Perché i suoi capi non avevano intenzione di rovinare i rapporti tra Russia e Gran Bretagna. L'ordine è partito dall'Fsb, il servizio interno. Loro non si interessano alle relazioni internazionali. Volevano vendicarsi e chiudergli la bocca».Perché l'hanno colpito solo ora, sei anni dopo la fuga? «Perché Alexander continuava a scrivere articoli contro di loro, contro Putin».
E lei come fa a sopravvivere? «Cerco di essere cauto, all'inizio ricevevo molti giornalisti, molte telecamere, anche della stampa russa. Poi ho capito che come minimo qualcuno era lì per controllarmi, per informarsi sulle mie abitudini. Ho smesso di essere così visibile».
In effetti questa intervista è il frutto di qualche cautela da parte del colonnello: ricevuta la telefonata del Corriere, Gordievsky l'ha ascoltata senza rispondere, registrandola. Poche ore dopo un «collega» sconosciuto ci ha contattati dicendo di aver avuto il numero da Gordievsky: «Un suo amico, giusto?».Veramente no, ma contatto stabilito.
Dopo poco ha squillato ancora il telefono: «Sono Oleg Gordievsky, mi voleva parlare?». Ci sarebbe da ridere, se all'obitorio non ci fosse un cadavere in attesa di autopsia.
29 novembre 2006

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