mercoledì, agosto 16, 2006

DA ALPI AGLI APPALTI .....

A dieci anni dall'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin viene nominata la solita commissione parlamentare d'inchiesta, guidata da Carlo Taormina, che subito chiede la riesumazione dei cadaveri. Passiamo ai raggi x l'incredibile scenario di affari - su cui la giornalista del Tg3 indagava - tra i generosi fondi per la cooperazione e i traffici di armi e, soprattutto, di rifiuti. E scopriamo due verbalizzazioni al vetriolo. Che conducono ad una delle più potenti holding internazionali - ma d'origine tutta italiana - nel settore dell'energia. Con un amico che si chiamava Siad Barre. Ed un socio che oggi é targato Enel.

DI ANDREA CINQUEGRANI RITA PENNAROLA

19 marzo 1994. A Mogadiscio vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. 20 gennaio 2004. In Parlamento viene costituita una commissione bicamerale d'inchiesta sulla morte dei due giornalisti del TG3, presieduta dall'avvocato e deputato di Forza Italia Carlo Taormina. Pochi giorni fa, il 2 marzo, viene decisa la riesumazione dei cadaveri. "Si tratta di un'iniziativa personale di Taormina", commenta il vice presidente della neo commissione, Raffaello De Brasi dei Ds. "L'ufficio di presidenza - precisa poi una nota della commissione - ha deciso un'altra cosa: di affidare all'istituto di medicina legale dell'Università Cattolica e ad un autorevole esperto balistico una "perizia delle perizie", perché in tutti i gradi del processo abbiamo assistito ad un balletto contraddittorio delle perizie". Dopo dieci anni di indagini a vuoto, di proclami e solenni dichiarazioni d'intenti, mancava solo la commissione, il solito cimitero delle verità. Ed ecco la magica 'superperizia' balistica (ballistica?): quasi che un millimetro in più o in meno possa svelare il mistero. E pensare che già un'altra commissione bicamerale - quella "sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse", presieduta da un altro forzista, il campano Paolo Russo - aveva puntato i riflettori sul caso Alpi. Nell'ultima seduta del 2 febbraio scorso, proprio Russo precisava: "la commissione sta svolgendo un'indagine volta ad approfondire taluni specifici profili inerenti alla vicenda, cui sarebbero connessi aspetti, di competenza della Commissione medesima, che riguarderebbero l'acquisizione di informazioni relative a presunti traffici illeciti di rifiuti radioattivi". Una Commissione, dunque, era già al lavoro, seguendo una traccia ben precisa: quella del traffico dei rifiuti. Ora, punto e a capo. La commissione Russo aveva deciso di occuparsi del caso Alpi parecchi mesi fa, nella riunione del 7 maggio 2003. Ma già tre anni prima, per fare un solo esempio, la pista-rifiuti era già ben visibile, come emerge dall'intervista del colonnello Carlini rilasciata a Famiglia Cristiana. "Ho incontrato tre volte Ilaria Alpi - dichiara Carlini - la prima risale all'estate del 1993, sotto il gazebo dell'ex ambasciata. Lei, a un certo punto, mi chiese se avevo mai sentito strane voci riguardo a traffici d'armi e rifiuti tossici. "Forse tu guardi troppi film" le dissi". E il giornalista: "Lei sta rivelando un particolare importante. Finora l'unica testimone che riferisce di un interesse della Alpi per i traffici parla di un colloquio avvenuto molto più tardi, il 15 marzo 1994, quattro giorni prima della sua uccisione. Le fece domande anche sulla cooperazione?" "No. Di cooperazione non mi parlò - risponde Carlini - insistette sui rifiuti, che antepose addirittura al traffico d'armi. "E se sotto ci fosse un traffico di rifiuti tossici?", disse. Le chiesi se stava scherzando".

DAVIDE CONTRO TECHINT
Cooperazione, armi, rifiuti.

La storia della presenza italiana nella Somalia dell'amico Siad Barre, fra un tintinnar di miliardi pubblici che vanno ad ingrossare le tasche di imprenditori, affaristi, faccendieri, politici, alla faccia dello sbandierato 'aiuto', anche in quel caso più che mai 'umanitario'. Chi sa molto di cooperazione & affari è Davide Cafiero, un dirigente del gruppo Techint (fra i più attivi sul fronte dei lavori in Somalia) a Mogadiscio. Un bel giorno, nel 1987, Cafiero viene licenziato, "perché mi rifiutavo - dichiarerà poi in tribunale - di firmare false attestazioni di avanzamento dei lavori necessarie per conseguire indebiti pagamenti dal ministero degli Affari esteri". Per chiudere la querelle, Techint versa a Cafiero 55 milioni. La vicenda, però, viene raccontata dal giornalista Massimo Alberizzi, inviato del Corsera. La società passa al contrattacco, querela Alberizzi, il quale, nel corso dell'udienza processuale rincara la dose e fornisce una serie di particolari agli sbigottiti magistrati. "A Mogadiscio sostengono che quanto dichiarato da Cafiero era la prassi", esordisce, e passa subito a raccontare una storia 'ai confini della realtà'. "Per quanto riguarda la realizzazione dei pozzi - verbalizza - la vicenda parte alla metà degli anni '80, quando il Fondo aiuti italiani affida alla Techint il compito di ingegneria e direzione dei lavori per la realizzazione di opere da 22 miliardi di lire. La Techint ottiene questa concessione dal Fai e non può per legge appaltare i lavori a una sua società controllata. In accordo con il suo socio d'affari Ottavio Pisante, la Techint affida i lavori con contratto stipulato il 9 luglio 1986 all'Aquater spa del gruppo Eni, con intesa che quest'ultima avrebbe subappaltato il 50 per cento dei lavori alla Ecologia spa. Il cui azionista di riferimento era Marcellino Gavio, sotto inchiesta per le tangenti Itinera, insieme a Gabriele Cagliari, poi presidente dell'Eni (morto 'suicida' in carcere nei mesi di Tangentopoli, ndr), tramite la Fimo".

L'AUTOAPPALTO
Continua la minuziosa testimonianza di Alberizzi davanti ai giudici. "Il 16 settembre 1986 Aquater e la società Ecologia stipularono un accordo in cui si conviene che a quest'ultima viene assegnato il 50 per cento della commessa globale. Quello con Ecologia è solo un contratto-paravento perché viene formalizzato un atto di associazione in partecipazione in cui si sottoscrive che, pur restando Ecologia formalmente titolare del contratto, in sostanza è l'Emit a gestire tutto, e che per tale attività riceverà il 75 per cento degli utili netti. Emit però appartiene al 100 per cento al gruppo Acqua, il cui presidente è Ottavio Pisante, arrestato per le tangenti sulle discariche e a sua volta legato alla Techint. Il gioco è fatto. La Techint, che ha ottenuto la commessa del Fai, di fatto si autoappalta la metà dei lavori. I giudici di Monza, Dolci e Mapelli, trovano false fatture per coprire cespiti secondo uno schema noto, quello di aumentare i costi per creare un fondo occulto. Durante questo periodo di lavoro il figlio di Siad Barre, generale Masla Mohamed Siad, accusato più volte di girare il mondo in cerca di armi, viene in Italia, dove è ospite di Ottavio Pisante".E conclude: "Ha ragione il padre di Ilaria, Giorgio Alpi, quando dice che la figlia stava indagando sulle malefatte della Cooperazione italiana in Somalia, sui traffici di armi e sulle connivenze dei servizi segreti, o almeno parte di essi, con strani personaggi in cerca di affari poco puliti nel Corno d'Africa e ipotizza che qualcosa di estraneo alla semplice rapina potrebbe essere alla base dell'omicidio". Alberizzi, infine, precisa "che nel 1987 la Techint vede al timone Gianfelice Rocca e Paolo Scaroni, cugino del deputato psi Margherita Boniver". E oggi presidente del colosso Enel.
LA TORRE DEI PISANTE
Ma andiamo a scoprire chi è l'uomo a un passo da Barre, Ottavio Pisante, che con il fratello Giuseppe è riuscito a mettere le mani - creando una sorta di monopolio - sul più grosso business del presente e, ovviamente, del futuro: le acque. Con un occhio attento all'energia. Vediamo.Il suo nome sale alla ribalta delle cronache giudiziarie ai primi scoppi di Mani pulite, per l'affaire di Manfregonia (come titolò la Voce a marzo 1992), la commessa da 78 miliardi per il primo lotto relativo alla realizzazione - appaltata dal consorzio Asi - dei nastri trasportatori nello scalo pugliese, e aggiudicata alla Emit. C'è odore di mazzette, la procura di Foggia apre un fascicolo che, dopo tre anni di indagini, porta ad una sfilza di richieste di rinvio a giudizio per parecchi politici della prima repubblica, fra cui il psi Rino Formica, il dc Paolo Cirino Pomicino e lo psdi Antonio Cariglia. Per la prossima primavera è attesa la sentenza di primo grado: il pm, Maria Libera Rinaldi, ha chiesto 6 anni e mezzo per Formica, 7 anni per gli ex deputati Franco Di Giuseppe, Domenico Romano e Aldo Ciaravella, 7 anni e mezzo per l'ex onorevole del garofano Franco Borgia; richieste di assoluzione, invece, per Cariglia e di stralcio per Pomicino (motivi di salute). Altri 7 anni, poi, sono stati chiesti per il notaio Dino Giuliani, una sorta di eminenza grigia nella vicenda. Che si colora di giallo. Tre testi-chiave, che in un primo momento verbalizzano contro i politici coinvolti, poi ritrattano. "Siamo stati costretti dalle minacce dei magistrati", dichiarano. Ecco scattare, a inizio '95, un'inchiesta a carico degli inquirenti, Roccantonio D'Amelio e Massimo Lucianetti, secondo il consueto copione "chi osa indagare troppo in alto, viene a sua volta indagato", o se preferite, "se qualcuno punta l'indice per accusare, prima o poi si indaga sull'indice". Il cuore di D'Amelio non regge: pochi mesi dopo, a giugno '95, viene stroncato da un infarto. Su richiesta del gip Oronzo Ferini, viene rinviato a giudizio Lucianetti per induzione alla calunnia, abuso e falso. Lo stesso Ferini, però, è costretto ad astenersi dal processo, perché è a sua volta indagato dal Csm per collusioni "con un personaggio in odore di Sacra Corona Unita" (ciò gli varrà una sanzione disciplinare e il trasferimento d'ufficio). Alla fine del rocambolesco iter processuale, nel '99 il tribunale di Lecce assolve Lucianetti "perché il fatto non sussiste" e a sua volta rinvia a giudizio i tre testi cambia-versione per calunnia ai danni dello stesso pm. Storie di ordinaria 'giustizia'Š
TANGENTI ROSA
Torniamo ai Pisante. Trasversali al punto giusto, i fratelli Ottavio e Giuseppe riescono infatti a coltivare proficui rapporti sia sul versante del biancofiore che del garofano, dove la stella polare è quella di Gianni De Michelis, compagno di banco dello stesso Giuseppe. Risale esattamente a dieci anni fa la gustosa vicenda delle "tangenti in minigonna" - così veniva battezzata la storia alla procura di Milano -, ovvero quattro ragazze dalle misure giuste ("una veneziana del '61", "una fidata bolognese del '49" e "due sventole napoletane del '60 e del '63", secondo il passaparola in procura) a libro paga Emit degli amici Pisante, per la modica cifra di 145 milioni di lire. Un canale, evidentemente, apre l'altro, e così crescono a dismisura le fortune del gruppo Acqua, sempre più strategico nel nostro paese. E non solo, sulle orme di 'consorella' Techint, cui apriva le porte dei mercati esteri - soprattutto sudamericani - un pezzo da novanta (e della P2, poi espulso dallo stesso Licio Gelli "perché si allargava troppo, soprattutto in Argentina") come Giancarlo Elia Valori, in rampa di lancio a inizio anni ottanta alla napoletana Sme, poi una carriera razzo lungo le Autostrade, infine deus ex machina degli industriali romani. Ma potevano, gli ubiqui Pisante, non assicurarsi ulteriori coperture a sinistra? Scrive Marco Travaglio nella sua 'enciclopedia' su Mani pulite: "Il gruppo Acqua di cui faceva parte l'Emit dei Pisante era inserito nella cerchia delle imprese amiche dei politici e come tale da privilegiarsi. Si era assicurato anche l'assenso del Pci, soddisfacendo le esigenze delle cooperative sponsorizzate da Zorzoli, associandole nel suo raggruppamento". Travaglio si riferisce al maxi appalto per la denitrificazione dei laghi Fusine e Tavazzano, dove il consigliere 'rosso' dell'Enel, Zorzoli, favorisce l'appalto Emit a condizione che l'impresa dei Pisante a sua volta subappalti alle coop. "Nessuna discussione in Consiglio - prosegue Travaglio - e gli impianti di Fusine e Tavazzano furono assegnati alla cordata Emit che associava Elettrogeneral (legata alle coop, ndr), una piccola società che in questo modo si vide aggiudicare appalti che superavano quasi dieci volte il valore del suo fatturato annuo". Miracoli del libero mercato. Per quell'appalto - va ricordato - il tribunale di Milano condannò il cassiere delle tangenti rosse, Primo Greganti, a 3 anni e 7 mesi ("poi ridotti in appello a tre anni - precisa Travaglio - con un patteggiamento definitivo che incorpora anche l'altra condanna riportata a Milano per la tangente Fiat del Po-Sangone") e Zorzoli a 4 anni e 8 mesi, poi ridotti a 4 anni e 3 mesi in appello.Non solo Manfredonia nel pedigree tangentizio dei Pisante. Dall'appalto per il teleriscaldamento a Pavia (destinatario-confesso delle mazzette Giancarlo Magenta), ai lavori per la discarica a Vieste (400 milioni da dividere tra faccendieri, politici e progettisti), fino a quelli per il metrò a Roma (800 milioni per un lotto da 7 miliardi) - per citarne solo alcuni - è un vero e proprio tourbillon di cartepillar, ruspe & scarichi miliardari. Fino al business casereccio di San Severo di Puglia, dove un comitato di cittadini è letteralmente insorto contro l'installazione di una centrale termoelettrica previsto in contrada Ratino: affidata - guarda caso - alla Techint, su un suolo - guarda caso - di proprietà della famiglia Pisante.
DA SAN GIORGIO AGLI USA
E non solo inchieste giudiziarie o sussulti popolari, ad arricchire il curriculum della dinasty pugliese. Ma anche, qualche anno fa, i riflettori della stessa commissione parlamentare sui rifiuti, allora presieduta dal verde Massimo Scalia. Un dettagliatissimo rapporto del 29 marzo 2000 - fitto di sigle, intrecci, incroci, appalti e connection più che pericolose - vede sotto i riflettori proprio le molteplici società che fanno capo ai Pisante. Con un partner d'eccezione: i Colucci, una famiglia partita da San Giorgio a Cremano vent'anni fa - con la celebre privatizzazione della N.U. a Napoli voluta nel '90 dal psi Antonio Cigliano - e oggi vera e propria multinazionale della munnezza. Fino a toccare gli States e nientemeno che l'affare EnronŠNei vorticosi giri societari, fanno capolino altri gruppi in odore di spazzatura, come la famiglia La Marca da Ottaviano, che con la sua discarica Di.fra.bi. di Pianura, alla periferia di Napoli, per anni ha fatto il bello e cattivo tempo sul delicato e turbolento settore dei rifiuti. Cerchiamo di esaminare alcuni tasselli dell'intricatissimo mosaico.Nel paragrafo del dossier parlamentare intitolato Il gruppo Colucci-Pisante, ecco due sigle, Nuova SPRA Ambiente spa, incorporata nella Emas Ambiente (ex Colucci Appalti), sede a Napoli, capitale - viene sottolineato nel rapporto - da 1 miliardo interamente detenuto dalla Ercole Marelli Servizi Ambientali (del gruppo Emit, ndr). La stessa Emas Ambiente "ha un capitale sociale di 3 miliardi interamente controllato dalla Ercole Marelli". Ad amministrarla dal '97 é tale Angelo Rubicondo, il cui nome compare anche negli organigrammi di vertice di grosse sigle come Eniacqua Campania spa, SIBA (Società Italo Britannica dell'Acqua spa) e Latina Ambiente. "L'onnipresente Ercole Marelli - viene sottolineato nel dossier - ha a sua volta il controllo totale delle quote, oltre che di Nuova Spra Ambiente, Emas Ambiente, anche di Copafi, Sogefi e Proteia: in quest'ultima, ad esempio, la carica di presidente del cda è passata, nel '97, da Ottavio Pisante a Francesco Colucci (col fratello Nicola al timone della dinasty sangiorgese, ndr)". Altra palestra per il collaudato team è ad esempio CO.GE.S., costituita nel '91 a Napoli con un capitale fifty fifty tra le due famiglie. E ancor più la spa Fineco, dove si ritrovano sotto lo stesso ombrello Giuseppe Pisante, Itinera, e la Società Generale dei Colucci (a sua volta azionista della Ercole Marelli). Fino ad arrivare alle relazioni con gruppi altisonanti. Da Eni, a Fiat, a Falck, fino al colosso multinazionale Waste Management, tra i primi 'munnezzari' creativi del mondo. La società milanese ETR, per cominciare, fa capo per il 90 per cento alla Falck spa e per il 10 per cento alla Emit. Waste Management Italia, dal canto suo, controlla una miriade di sigle che operano nel maleodorante settore (Emica srl, Ecoservizi spa, Pitef srl, Piacenza Ambiente, Ecopi srl, Ira srl, Gestioni Ambientali srl, Ecocamuna spa, Serecol srl, Nuova Ecoedizioni srl, Gsa scrl, Ecocentro spa, Consorzio Argo, Ve-Part srl, etc). Un vero e proprio 'cartello' - denunciava già nel 2000 la commissione Scalia - "un sistema che presenta elementi rilevanti di distorsione del mercato", in un "settore senza regole", con imprese che "agiscono su un doppio binario, quello della legalità e quello dell'imprenditoria deviata", con "diversi gruppi imprenditoriali al tempo stesso concorrenti e partner" (viene emblematicamente citato il caso Emit-Falck), "società con un capitale da centinaia di milioni (quando non miliardi) controllate da società con il minimo capitale sociale previsto dalla legge", spesso "scatole cinesi", oppure "società svizzero o lussemburghesi". Il tutto, con l'immancabile ingrediente delle "infiltrazioni della criminalità organizzata". Insomma, proprio un bell'ambienteŠIl tandem Colucci-Pisante, un mix campano pugliese da anni milanesizzato e ormai in via di 'globalizzazione', dunque, con le corazzate Emit ed Emas, controlla a sua volta - attraverso una terza sigla, Italcogim (su cui ha puntato i riflettori l'antitrust di Giuseppe Tesauro) - il colosso Waste Italia. La poltrona di presidente di Waste è stata occupata per un paio d'anni da Paolo Togni, poi passato, nel 2001, a quella - non meno strategica - di capo di gabinetto al ministero dell'Ambiente, retto da Altero Matteoli di An. Conflitto (d'interessi) che viene, conflitto che va: e Togni, oggi più che mai, è vice presidente di Sogin, la società condotta dal generale Carlo Jean che sta facendo man bassa di appalti pubblici sul fronte energetico (dal nucleare fino agli impianti di Cdr), sia su incarico governativo che regionale (in prima fila proprio la Regione Campania alle prese, fra l'altro, con il bubbone di Acerra).Acqua, sempre acqua, fortissimamente acqua. Per il gruppo Pisante la sete non ha mai fine. Ecco allora far capolino il maxi affare dell'acquedotto pugliese, da anni in via di privatizzazione: 20 mila chilometri di rete, per fornire a 4 milioni di abitanti 310 mila metri cubi di acqua all'anno. Il più grande acquedotto d'Europa, assicurano gli esperti, con 2000 addetti. Gestito fino ad oggi dalla Acquedotto pugliese (la prima società idrica in Italia, la terza nel mondo), se lo contendono oggi l'Acea di Roma, la multinazionale francese Vivendi e l'altro big transalpino, la Lyonnaise des eaux: secondo i bookmakers, è proprio quest'ultima la favorita, soprattutto perché ha un asso nella manica, "l'uomo della Lyonnaise in Italia", ossia Ottavio Pisante. Occorrerà la benedizione di Massimo D'Alema per condurre in porto l'operazione: e i Pisante - come ha documentato Marco Travaglio - anche su quel versante sono ben coperti. "Succederà come in Somalia - osserva un operatore del settore - si aggiudica la commessa Lyonnaise, che poi smista il 50 per cento e passa al gruppo Pisante. La musica si ripete, all'estero e in Italia". Anni fa l'acquedotto pugliese stava per finire ad Enel Hydro, la punta di diamante dell'ente elettrico in questo strategico settore. Poi la trattativa sfumò. Sono andate in porto, invece, altre due operazioni condotte in partnership con Vivendi: Acqua Latina e Sicilia Acque. Ma il colpo da novanta dovrebbe essere un altro, sempre con Enel Hydro come protagonista: nelle vesti, però, non di acquirenteŠ Circola infatti con sempre maggior insistenza negli ambienti del parastato (o meglio, fra le macerie che ne restano) l'ipotesi di una trattativa più che mai avviata per la vendita di Enel Hydro, nel giro di pochi mesi diventata un ramo secco, "una delle attività dell'Enel considerate non più strategiche dall'amministratore delegato della compagnia elettrica pubblica, Paolo Scaroni", come si legge in una nota. Altri miracoli del libero mercato. I pronostici vedono in pole position due formazioni: una, al solito, di marca francese, Veolia environment - emanazione della stessa holding Vivendi -, l'altro di marca nostrana, Emit, tanto per cambiare. Per la serie: l'Enel di Scaroni vende il ramo 'secco' (ma non è d'acqua che si tratta?) agli amici di una vita, Giuseppe e Ottavio Pisante. Ma - come dice Tony Renis, commentando il miracoloso arrivo di Celentano al festival - non è l'unico tesoro che ci resta, l'amicizia? La trama miliardaria di acque & rifiuti - spunta l'Opus Dei

IN PRINCIPIO FU L'AKROS
Dalla Somalia ai bubboni di casa nostra targati Federconsorzi e, oggi, Parmalat. Ci sono proprio tutti, i protagonisti dei crac. Riuniti all'ombra della potente Opus Dei. Ecco l'intreccio societario.
DI ANDREA CINQUEGRANI
Chi trova un amico trova un tesoro. Chi ne trova due, trova due tesori. Alla luce del sole, insieme, per fare opere di bene. Così capita ai fratelli Ottavio e Giuseppe Pisante, a Paolo Scaroni e ad uno dei big dell'Opus Dei in Italia, Gianmario Roveraro. I soldi e gli affari passano - hanno pensato - il cuore resta, gli affetti e l'amicizia valicano i secoli. E' proprio per aiutare il prossimo, i più deboli - in perfetto spirito opusdeista - che una dozzina d'anni fa, a fine '92, sboccia Humanitas. Per porre la prima pietra di un complesso ospedaliero da oltre 300 posti (valore 200 miliardi) nel popoloso, e bisognoso, hinterland milanese, in quel di Rozzano. A rimboccarsi le maniche, alcuni tra i più bei nomi della borghesia meneghina: dai Moratti ai Vender, dai Bracco ai Pisante, dai vertici Techint (Gianfelice Rocca, Paolo Scaroni) a Roveraro, a bordo della sua finanziaria a tutto campo, Akros. Rapporti comunque già consolidati, amicizie che reggono l'urto del tempo, l'usura degli anni. E, per ritemprarsi, hanno bisogno, a volte, di pensare al vile denaro. Agli sporchi miliardi. Alle spa. E' il caso di Acqua Holding, società per azioni nata esattamente trent'anni fa, nell'autunno '84, e che ancor oggi vede gemellati tre grandi amici: il sessantaduenne Giuseppe Pisante da San Severo, il cinquantottenne vicentino Paolo Scaroni e il cotaneo Gianmario Roveraro da Alberga (cui tengono compagnia Rocca, e altri amici del cuore, come Mario Fiore e Ettore Gotti Tedeschi). Una immobiliare come tante altre, 200 milioni di canonico capitale sociale, sede nella consueta via Tortona 33 a Milano (quartier generale della scuderia targata Emit), poi trasformatasi nella Acqua spa, una vera e propria corazzata del settore idrico. Cerchiamo allora di disegnare un sintetico profilo degli amici di casa Pisante. Partiamo dal rampante Scaroni, oggi numero uno del colosso Enel, in veste di amministratore delegato e direttore generale. Il suo nome comincia a far capolino nelle cronache giudiziarie di Mani pulite, proprio in occasione della maxi inchiesta del pm Vittorio Paraggio sull'affaire-cooperazione. A quel tempo - siamo del '94 - Scaroni è amministratore delegato di Techint. E' a quegli anni che risale l'ingresso di Techint nel gruppo Acqua, con l'acquisto del 25 per cento del pacchetto azionario. E' poi la volta della SIV, l'azienda leader del gruppo Efim per la lavorazione di vetro: la sua privatizzazione porta ad una spartizione fifty fifty tra Techint e il colosso inglese Pilkington Europe. Un esperto in vetro, Scaroni, visto che si era fatto le ossa, anni prima, alla multinazionale francese Saint Gobain, concorrente proprio di Pilkington in quel comparto: lui, il bocconiano Scaroni, ebbe la responsabilità delle attività del gruppo a livello mondiale. Una privatizzazione tira l'altra, ed ecco il dinamicissimo manager tuffarsi nelle avventure Italimpianti e Dalmine. Nel fittissimo curriculum - riportato oggi nel sito dell'Enel - figurano altre cariche da novanta: membro del 'supervisory board' del colosso ABN AMRO Bank, del cda di Bae Systems e di Alliance UniChem, la più ruspante presidenza dell'Unindustria di Venezia, quindi membro della giunta nazionale di Confindustria. "Un carriera che ricorda molto da vicino quella di Giancarlo Elia Valori", commentano in ambienti confindustriali. Dal sito Enel, comunque, si possono trarre diverso notizie utili. "Esaminando la Paolo Scaroni career ci si potrà rendere conto della realtà che sta dietro alle attività di Enel, dello sforzo umano necessario alla crescita di qualsiasi impresa". E poi, incredibile ma vero: "Date un'occhiata allo Scaroni curriculum e alle schede degli altri collaboratori: sono state incluse nel sito proprio per mostrare l'umanità che sta dietro le mosse del gruppo: la pagina Scaroni energia vi metterà a conoscenza proprio di questo: di come il direttore generale sia asceso al presente incarico e di tutte le sue imprese passate". Com'è umano lei, Signor Padrone!Un uomo dalle mille risorse, Scaroni. E dai mille hobby. Primo fra tutti, però, il pallone. Nell'arcipelago delle sue presenze societarie, infatti, spiccano due sigle. La prima é Cortina, srl da 2 miliardi e 400 milioni in vecchie lire di capitale sociale: al suo fianco nomi altisonanti dell'industria, come ad esempio Guido Maria Barilla, Andrea Riello e Giuseppe Gazzoni Frascara, il patron del Bologna calcio che con le sue recenti denunce sui bilanci dopati sta mettendo in crisi l'intero sistema pallonaio. Il cuore, però, resta sempre il cuore, ed ecco una piccola, ma significativa presenza, nell'azionariato di Calcio Milan spa. Forse per premiare la sua fedeltà ai colori rossoneri, il cavalier Berlusconi aveva pensato in un primo momento proprio a lui come super commissario di Alitalia: ha polso, ha ottimi rapporti internazionali, soprattutto in Inghilterra, poi è tifoso - ha pensato Sua Emittenza - è l'uomo giusto al posto giusto. Scaroni, però, ha preferito declinare il gentile invito. Perché lasciare la calda Enel - col suo smisurato retroterra di acquisizioni, dismissioni & appalti - per un'Alitalia in eterna turbolenza? E poi, i pensieri sono tanti. E anche le poltrone cui pensare, sono già tante: vice presidente di Andrea Merzario spa, Nuova Innocenti spa, Sadi spa e delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck spa (arieccole!), al vertice di Balzaretti Modiglioni spa, amministratore delegato di Find spa e della Fabbrica Pisana spa, consigliere di Fiscambi Leasing spa, Sind spa, Immobiliare Mirasole spa, Techosp spa, consigliere delegato di Find Finanziaria Industriale spa. Roba da capogiro.

TUTTI ALL'OPUS

Attraverso i nomi di Roveraro e di Gotti arriviamo ai santuari della Finanza. Del Potere Economico. E dell'Opus Dei.Partiamo da Roveraro, l'indiscusso regista delle prime imprese economico-finanziarie di Calisto Tanzi, il grande ispiratore dello sbarco del titolo Parmalat in Borsa. E il grande tessitore in una delle più grosse svendite della nostra storia pre-privatizzazioni, vale a dire l'affare Federconsorzi. "Quando scoppierà in tutta la sua portata - osserva un operatore di Borsa con trent'anni di esperienza - lo stesso crac Parmalat impallidirà. E ce ne sarà per tutti. Politici in prima fila". Quei politici che oggi, con le prime verbalizzazioni di Tanzi, cominciano a far capolino, tra versamenti a pro di riviste d'Area - è il caso di dirlo, come per la creatura del ministro dell'Agricoltura Gianni Alemanno, ignaro che il mittente dei circa 150 milioni di vecchie lire fosse mr. Collecchio - e contributi vari (pro Foglio di Giuliano Ferrara, pro Liberal di Ferdinando Adornato, mentre secondo 'o ministro Pomicino qualcuno - incassando da Tanzi - ha millantato il suo nome). La stampa tace, dei politici non si fa il nome: fuori dal coro il Libero di Vittorio Feltri. Siamo alla frutta.Torniamo a Roveraro. Il suo nome fa capolino in alcune cronache del 1999, quando viene sentito dalla commissione d'inchiesta (rieccone un'altraŠ.) che ha indagato sul dissesto Federconsorzi, presieduta da Melchiorre Cirami, divenuto celebre lo scorso anno, per via della famigerata legge che porta il suo nome. Venne interrogato, Roveraro, cinque anni fa, circa il suo ruolo strategico in quell'operazione, il ruolo svolto dalla sua Akros per elaborare il piano di 'salvataggio' della Federconsorzi, e fornire consulenza sui vari progetti, da 'Fiordaliso' ad 'Aquila': fra i protagonisti, all'inizio del 1991, l'allora premier Giulio Andreotti, il ministro dell'Agricoltura Giovanni Goria, Pellegrino Capaldo, atripaldese, ai vertici della Banca di Roma insieme a Cesare Geronzi, oggi al centro dell'affaire Parmalat (mentre i figli di Geronzi, Cragnotti e Tanzi sono soci nella Gea, ancora ci si interroga se il numero uno di Capitalia sia complice o vittimaŠ.). E proprio il 'piano Capaldo', alla fine, porterà all'operazione SGR, ovvero alla svendita di un patrimonio da almeno 7- 8 mila miliardi a un gruppo di ex-amici-creditori (sic), per un costo che di poco oltrepassa i mille miliardi! "Uno dei più colossali imbrogli ai danni dell'erario", commenta con amarezza Carmine Nardone, per anni in prima fila nel denunciare gli sperperi e le truffe nel settore agricolo, oggi presidente della Provincia di Benevento.Nella vicenda fa capolino la Finanziaria Centro Nord, creatura partorita da uno dei 'cavalieri bianchi' che hanno popolato le tormentate vicende economiche del nostro Paese, Giuseppe Gennari. Entrano in scena diversi vertici bancari, fra cui Carlo Zini, allora Banca Toscana poi al top del Monte Paschi, Giovanni Auletta Armenise per la Banca dell'Agricoltura, lo stesso Credito Italiano attraverso la controllata Bonifiche Siele. Insomma, un gigantesco puzzle. Nel quale, però, si intravede costantemente la figura di Gennari, poi di Roveraro, quindi di Tanzi. Ecco come sinteticamente viene ricostruito quello scenario nel volume Parmalat - la grande truffa, edito da Milano Finanza: "In passato padre padrone della Sige (braccio armato dell'Imi, unica reale antagonista di Mediobanca a metà degli anni '80), Roveraro in quegli anni era protagonista della finanza con la sua Akros. Fu Akros a prendere le redini dell'operazione. Entrò nella Finanziaria Centro Nord, rilevò direttamente il 5 per cento e offrì una sponda a Tanzi". E ancora: "Il 30 ottobre 1990 la FNC diventava Parmalat Finanziaria e l'obiettivo di Tanzi era raggiunto. La nuova Parmalat Finanziaria controllava il 70 per cento della Parmalat spa con un costo complessivo di 682 miliardi". "Braccio destro di Roveraro nel merchant banking era Ettore Gotti Tedeschi - prosegue la ricostruzione del dossier di Milano Finanza - vicino anche lui all'Opus Dei: nel 1993 divenne numero uno del Santander Central Hispano, una delle più potenti banche spagnole - e uno dei più forti azionisti del San Paolo Imi (che ha inglobato il Banco di Napoli, ndr). E proprio con il Santander Tanzi ebbe numerosi rapporti (su un conto del Santander sarebbe transitata una gran massa di denaro distratto dalle casse di Parmalat). E secondo indiscrezioni non confermate, per saldare questo legame con Gotti, Tanzi avrebbe costituito un circolo di preghiera legato all'Opus Dei, di cui avrebbe fatto parte anche Luciano Silingardi, commercialista di Tanzi e presidente della Fondazione Cassa di Parma". Insomma, un'Opus Dei perfettamente a proprio agio, tra gli affari del gruppo di Collecchio. Non a caso, alcuni cronisti siciliani ricordano le acrobazie dell'allora primo ministro Ciriaco De Mita - grande amico di Calisto - per candidare in Sicilia un pezzo grosso nome dell'Opus Dei, "addirittura un "numerario"", viene precisato. Non solo opusdeisti, ma anche gladiatori, s'intrecciano nelle storie dell'ex colosso di latte. Per favorire l'ingresso in Borsa, a fine anni ottanta, infatti, a fianco dell'onnipresente Roveraro troviamo l'altrettanto dinamico e ubiquo Mario Mutti. Un'altra storia, la sua, tutta agricoltura, finanza & affari. Nel suo pedigree, Polenghi Lombardo, poi Fedital (il braccio finanziario, guarda caso, della Federconsorzi), poi l'ingresso nella strategica Finanziaria Centro Nord (vero e proprio crocevia d'affari & misteri negli anni novanta), quindi il feeling con Mariotto Segni, poi con Berlusconi, il lavoro in Spagna per Telecinco (torna la terra di monsignor Escrivà de Balaguer). Per diversi anni, sia Roveraro che Mutti faranno parte dello staff di vertice di Parmalt Finanziaria: per la serie, la trasparenza è trasparenzaŠMutti, comunque, non disdegna anche le tecnologie. E in compagnia di Salvatore Randi, ex presidente di Italtel, rileva Italtel Sistemi: piccoli Abramovich crescono, anche nelle privatizzazioni di casa nostra. Nell'operazione, comunque, i due possono contare su un partner d'eccezione, il gruppo Gallo di Meliorbanca, finito di recente nell'occhio del ciclone per il crac Ambrosio da mille miliardi, per la serie "in culo alle banche". Italtel Sistemi, che può contare su un grosso portafoglio di commesse col gruppo telefonico nazionale allora guidato da Roberto Colaninno, si trasforma poi - dopo la fusione con l'altra sua creatura, Tecneudosia - in Tecnosistemi, sigla dove si registra la partecipazione del vecchio amico Tanzi con il 2,5 per cento. E Tecnosistemi farà parlare di sé, negli anni seguenti. Anche via telefono. Agli atti del processo per il disastro di Linate - il cui dibattimento è cominciato in questi giorni, ai primi di marzo - c'è una registrazione dove si parla di un contratto di fornitura a favore della società. L'interlocutore di Mutti - secondo indiscrezioni - sarebbe Sandro Gualano, l'ex amministratore delegato della società che gestisce lo scalo milanese, Enav. Al centro della conversazione, appunto, una commessa per Tecnosistemi, con l'obiettivo di rendere un favore 'politico' a Forza Italia, stella polare dello stesso Mutti.Alla ricerca del malloppo dopo il maxi crac Parmalat

IL TESORO IN NICARAGUA
La misteriosa vacanza natalizia con la consorte. Tutte le tappe, da Fatima a Quito. Dove Tanzi sarebbe andato a trovare un vecchio amico. Ma ecco un'altra versione, che ricostruisce l'incontro con Carlo Pellas, il finanziere al vertice della prima banca del Nicaragua. Tutte le manovre per la 'svendita' pilotata della Parmalat locale.
DI FURIO LO FORTE
Dov'è finito il tesoro di Calisto Tanzi? E' uno degli interrogativi-base per gli inquirenti che hanno sollevato il coperchio sul pentolone dove da mesi bolliva un crac annunciato. Ora che i buoi sono comodamente fuggiti dalle stalle, si dà - giustamente - la caccia al malloppo. Meglio tardi che mai.
TUTTO CASA E CHIESI
E per cominciare a capirci qualcosa - secondo gli 007 sguinzagliati da diverse procure italiane - bisogna cominciare dalla fine: e cioè dalla misteriosa vacanza-premio, da perfetto turista giapponese con tanto di tracolla per film e foto, che Tanzi si è concesso prima di Natale con la consorte Anita Chiesi, per festeggiare - si vede - lo scandalo che aveva ormai cominciato a montare da alcune settimane. Anche una giovane marmotta alle primissime armi sarebbe in grado di capire che quel viaggio è servito a qualcosa: a decidere le ultime strategie e soprattutto a tracciare la pista per il 'volo' del malloppo. Una settimana prenatalizia frenetica, quella della coppia da Collecchio. Prima tappa Lisbona, per ammirare le meraviglie della capitale lusitana e - non si sa mai - scoprire qualche fresco talento del Benefica da consigliare al team di Prandelli: li ospita Claudio Cattaneo, responsabile Parmalat in Spagna. Escursione d'obbligo a Fatima: un cattolico a tutto tondo come lui - tutto casa, chiesa e Chiesi - non può mancare all'appello: potrebbe mai giustificare un'eventuale 'dimenticanza' davanti agli amici da novanta targati Opus Dei? Da Lisbona, quindi, alla volta di Madrid, rapida visita e un occhio al Bernabeu. Poi in volo per il sud America, obiettivo Quito, la capitale dell'Equador, dove i coniugi rimangono per quattro giorni. A fare che? Turismo, relax e la compagnia di un vecchio amico, Franco Giugovaz, racconta Tanzi ai magistrati che lo hanno interrogato al rientro in Italia. Nessun incontro misterioso, niente missioni di lavoro, neanche una visita agli stabilimenti Parmalat in Equador, nemmeno il cellulare con sé (solo quella della moglie, precisa, ma tanto la linea non da quel paese non prende): insomma, un vero e proprio scout. Qualche piccolo errore, nella rilassante ricostruzione, l'ex patron del Parma lo commette: nel pedigree aziendale, infatti, esiste un Giugovaz, ma si chiama Ettore, un tempo manager alla Bonatti, l'azienda di costruzioni controllata dai Tanzi e molto attiva in Irpinia nel dopo terremoto e non solo (il top manager della Bonatti, Tedeschi, per alcuni anni è stato al timone dell'Avellino Calcio). L'amico Giugovaz - aggiunge nella sua verbalizzazione - si è occupato anche della progettazione del ponte di Guayaquil: forse per questo i coniugi hanno deciso di fare una bella gita, per ammirarne il pregevole design. I primi due giorni, comunque, li trascorrono proprio come due colombini, a girellare tra calles e supermercati (caso mai per sbirciare i prodotti Parmalat in bella esposizione) e tubare, nelle accoglienti stanze dell'hotel Akros. Anche qui, nessuna visita agli impianti di lavorazione del latte. "Nessun contatto, non è andato in nessuna banca, non ha organizzato nessuna cosa strana", minimizza il legale, Fabio Belloni, il quale aggiunge: "Che senso ha tirare in ballo il Centramerica, ma quando mai c'è stato! Le isole Cayman, poiŠ non so dove il tribunale tragga questi dati". Più certi di cosìŠNon convinti - e sarebbe proprio difficile credere alla favoletta - gli inquirenti. Dichiara a fine gennaio il pm di Parma Vincenzo Piccioni: "I contorni di questa gita non sono ancora chiari". Viene aggiunto nel dossier Parmalat - La grande truffa, edito da Milano Finanza: "In effetti ci sono altre cose da chiarire. Per esempio quel milione e mezzo di euro di fondi neri che Tanzi chiese al direttore finanziario Luciano Del Soldato, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre 2003, per una misteriosa operazione da compiere di America latina. Soldi da accreditare, in parte, su un conto della società Keena International nv di Curacao, nelle Antille Olandesi. L'operazione poi saltò e i soldi vennero riportati in Italia, come ha svelato il contabile Claudio Pessina".Non è saltata, invece, un'altra maxi operazione - finora non salita agli onori delle cronache - con la quale passiamo ad un altro scenario, anch'esso fino ad oggi rimasto avvolto nel più totale mistero. Quello del Nicaragua, il paese centramericano su cui avrebbe puntato molte delle sue carte Calisto Tanzi. E proprio da quel paese sarebbe partito un grosso brasseur, Carlo Pellas, che avrebbe incontrato mr. Parmalat nel suo soggiorno a Quito. Lontano da occhi indiscreti. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di mettere insieme le tante tessere del mosaico.Comincia a fine anni novanta lo sbarco a Managua del gruppo di Collecchio. Cinque anni fa, infatti, Tanzi rileva la nicaraguese Perfecta e mette presto solide radici, fino a diventare in breve tempo l'azienda leader per la distribuzione di latte, con un fatturato da 55 milioni di dollari, una produzione annua di 65 milioni di litri e un ritmo di crescita vertiginoso: ad esempio, le cifre 2003 superano di oltre il 20 per cento quelle dell'anno precedente, con un vero e proprio balzo nell'export. La strategia del gruppo, infatti, è molto particolare: la metà del latte commercializzato in Nicaragua è in polvere, "oppure annacquato", secondo gli esperti. Come si giustificano, allora, i grossi investimenti - pari a circa 20 milioni di dollari annui - per comprare la materia prima dai produttori caseari? Proprio per puntare sull'export, visto che - secondo alcuni - grosse quantità di latte prendono la via del Salvador e dell'Honduras. "Contravvenendo in qualche modo a un accordo preso con le autorità, secondo cui Parmalat avrebbe dovuto in primo luogo soddisfare il fabbisogno interno, poi esportare". E invece, a quanto pare, il Nicaragua è costretto ad importare latte dal Costa Rica, marca Dos Pinos: e proprio in Costa Rica aveva cercato un altro sbarco mr. Tanzi, portando in dote il gran maestro caseario Maurizio Calderoni, prelevato dalla Locatelli e transitato per la Parmalat Nicaragua. L'affare, però, non si concluse, "perché la Parmalat - notano alcuni osservatori locali - non dava sufficienti garanzie etico-professionali". Che fiutoŠ Le autorità, allora. Sempre ottimi i rapporti tra i vertici dell'establishment politico e finanziario nicaraguense con il portabandiera della corazzata italiana da Collecchio, Aldo Camorani, fedelissimo di don Calisto fin dai tempi di Odeon Tv, la creatura dell'etere che - secondo i progetti di Ciriaco De Mita - avrebbe potuto mettere in crisi le antenne di Sua Emittenza. Si è visto. Grande il feeling col presidente del Nicaragua di quegli anni, Arnoldo Aleman: al punto che il gruppo parmense viene visto come la Provvidenza, avendo deciso di salvare dal crac uno dei principali istituti di credito locali. Il Banco Nicaraguese de Industria e Commercio, più noto in zona come Banic.Peccato che sul filo di lana l'operazione non vada in porto, perché Aleman viene arrestato per riciclaggio: condannato a 20 anni, Aleman si sta godendo i domiciliari nella sua immensa tenuta el Chile e proprio in questi giorni il parlamento sta pensando bene di concedergli l'amnistia.

CON BOLANOS SI VOLA

No problem, comunque, col successore, Enriche Bolanos, già vice presidente e uomo ombra di Aleman. Il grande sponsor di Bolanos - e finanziatore delle sue faraoniche campagne elettorali - si chiama Carlo Pellas, origini italiane e al vertice, del più grande istituto di credito, il Banco de America Central, per gli amici BAC. Fra i principali interessi della famiglia Pellas, le distillerie di Flor de Cana, il rum, e la più imponente si trova a Cuba. Uno fra i presidenti più pagati delle Americhe del centrosud, Bolanos: si parla di circa 20 mila dollari al mese (il salario medio è di 70), comunque un 'risparmio' per il paese, visto che Aleman avrebbe racimolato, nella sua carriera politica, la bellezza di 200 milioni di dollari. La stampa di opposizione accusa Bolanos di nepotismo, perché, secondo alcune recenti stime, una quarantina di parenti lavorano nello staff di governo, mentre gli altri (parenti) occupano posizioni strategiche nell'apparato economico-finanziario (come un nipote, direttore della Nestlè Nicaragua). Ma torniamo ai Collechio boys, e alle ultime acrobatiche vicende. Dopo i primi clamori dall'Italia, Camorani si affretta a gettare acqua sul fuoco: "Parmalat Nicaragua è molto tranquilla, noi siamo indipendenti da Parmalat Italia. Io - precisa - ho un mandato molto ampio, ho potere decisionale sulla Parmalat Nicaragua. Certo, informo l'Italia, ma niente più". Ottimo pompiere anche l'ambasciatore italiano a Managua, Maurizio Fratini: "La Parmalat Nicaragua è solida, non ha debiti, è produttiva e dà utili che si stanno reinvestendo nell'impresa. Da qui non si è preso denaro". Ai primi di febbraio, invece, il botto. Il Banco de America Central e la Tower Bank de Panama (tra i più grossi azionisti, Fidel Castro e famiglia) chiedono il sequestro preventivo delle azioni Parmalat Nicaragua per un debito di circa 2 milioni di dollari. Ma com'è possibile?, sono un po' in tutti a chiedersi. La situazione non era sotto controllo come sbandierato da Camorani e dal nostro ambasciatore? Cade dalle nuvole anche il ministro dell'Industria e del Commercio, Mario Arana: "Come è possibile pensare ad uno stato d'insolvenza per un'azienda che fattura 55 milioni di dollari all'anno?". Eppure, un giudice l'ha concesso, il sequestro. I tempi della 'procedura' sono molto stretti: se non si ripiana il debito, sarà vendita (o svendita) al migliore offerente.

SALDO MORTALE

Cerchiamo di svelare il mistero. E' lo stesso Arana a fornire, giorni dopo, le prime spiegazioni. Il 5 novembre - precisa il ministro - Camorani ha ricevuto una telefonata da Tanzi che lo pregava di trasferire 5 milioni di dollari. Camorani ammette: "Tanzi mi ha ordinato telefonicamente di inviargli, per il giorno dopo, 5 milioni di dollari. Ho dovuto ubbidire". Eppure, era un manager autonomo e indipendenteŠ Cosa fa a quel punto Camorani? "Non prende i 5 milioni di dollari dai fondi della solida Parmalat Nicaragua, ma chiede un prestito al Bac e alla Tower Bank, che lo concedono - miracoli della finanza - in un battibaleno, meno di 24 ore", spiegano in ambienti economici di Managua. Dove poi siano finiti i soldi, su quale conto, e con quali modalità, non è dato sapere. Certo è che - dopo le prime avvisaglie del crac in Italia - le due banche chiedono il rientro immediato: non certo i tre anni previsti per qualsiasi prestito di quel tipo, ma ad horas, visti i conti di Parmalat Italia. A questo punto, si scatena l'asta. Si fanno avanti svariati gruppi, che già pregustano l'affarone, il maxi saldo. In pole position, guarda caso, l'immancabile BAC - un creditore, del resto, non può poi essere l'acquirente privilegiato? - , poi la Nestlé (rappresentata da Bolanos junior), quindi l'industria leader dei gelati Eskimo, proprietà del siciliano Mario Salvo; quindi Agricorp e Familia Cohen.

LO SCAMBIO

E ora torniamo al viaggio natalizio in Ecuador. Ecco il perché di quella strana vacanza nella ricostruzione di un diplomatico italiano che per anni ha frequentato Managua e la spiegazione delle 'strategia estera' di Tanzi: "Faccio il suo ragionamento: alcune cose, negli ultimi anni, non sono andate come dovevano, ma ho ancora qualche amico. Fortunamente ho aperto Parmalat Nicaragua. Ho uomini fidati lì, stanno portando avanti il lavoro come si deve. E' la mia ancora di salvezza, l'ho creata per questo. Ecco l'idea. Un do ut des, uno scambio: io vi lascio la Parmalat Nicaragua e voi i soldi e la protezione. Parmalat Nicaragua è in attivo e solida, devo creare un buco. Nessun problema. Poi, per prendere gli accordi conclusivi? Devo contattarli di persona, però non posso andare proprio in Nicaragua. Troppo evidente, non posso scoprire la mia Itaca. Allora vado in Equador, lì mi può tranquillamente raggiungere Carlo Pellas con il suo nuovo jet privato da 22 milioni di dollari. Quando scoppia lo scandalo, magistratura e giornali si precipiteranno a cercare il mio tesoro in quei paesi e io guadagno tempo: il tempo che servirà ai miei amici per prendere la Parmalat Nicaragua. Io intanto, se dovesse capitare il peggio, dirò qualcosa, solo quello che posso dire senza rischiare di finire come Calvi, ma, cosa più importante, cercherò di far sì che ciò che capita in Nicaragua non si sappia". E aggiunge: "Non dimenticate che Roberto Calvi era di casa, qui. E qui faceva transitare le sue più grosse operazioni di riciclaggio. Era arrivato a controllare interi pezzi del sistema bancario locale. In Nicaragua, poi, ha sede l'importante, e pericolosa, loggia massonica di Andorra, tra i cui confratelli spicca l'italo-nicaraguense Robelo". Un piccolo Berlusconi formato Nicaragua, Alvaro Robelo, ex ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, il cui nome fa capolino nell'inchiesta Telekom Serbia, capace di fondare un movimento dal nome "Arriba Nicaragua", ossia Forza Nicaragua. Col quale tentare la scalata al potere. Peccato che, all'ultimo minuto, gli avversari cavarono dal cilindro l'escamotage con cui non farlo partecipare alle elezioni: perché era uno straniero (italiano, nella fattispecie). Conclude il diplomatico: "Ci sono molti italiani, in Nicaragua. Molti politici italiani hanno investito qui per riciclare i loro soldi. E la gran parte di questi flussi finanziari passano attraverso il BAC". Ovvero la mega "lavanderia" della famiglia Pellas. In origine, Pella.Provenienza italiana, of course.

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